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Incidente mortale sul lavoro questa mattina ad Agropoli: a perdere la vita l’imprenditore 60enne Alessio Merola, originario del comune cilentano e titolare di una ditta di costruzioni edili. La tragedia è avvenuta intorno alle ore 7 di stamane in Via Pasquale Voso (nella foto), una traversa di Via Risorgimento sul lungomare, dove l’uomo dirigeva il cantiere relativo alla ristrutturazione di un edificio. Secondo le prime testimonianze e ricostruzioni raccolte dagli inquirenti, per cause ancora da accertare Merola avrebbe perso l’equilibro scivolando da un’impalcatura durante le operazioni di carico di alcuni materiali con la gru: l’uomo è così precipitato nel vuoto, schiantandosi su un camion sottostante, dopo un volo di oltre 15 metri.
Il costruttore è morto sul colpo a causa di un gravissimo trauma cranico e toracico riportato nel violento impatto: a nulla sono valsi tutti i tentativi di aiutarlo da parte degli operai e dei sanitari. Sul posto sono giunti immediatamente i carabinieri della Compagnia di Agropoli, coordinati dal cap. Francesco Manna, che hanno sequestrato l’area di cantiere ed avvisato il magistrato di turno presso la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania, che ha disposto l’esame esterno sulla salma a cura del medico legale. Sul luogo della tragedia anche il sindaco di Agropoli, Adamo Coppola. Sotto choc la comunità agropolese, dove Merola era molto conosciuto e stimato come un grande lavoratore, onesto ed appassionato al suo lavoro.

“Un grande lavoratore , onesto ed appassionato al suo lavoro” perde la vita per una tragica fatalità, ma la notizia assume una veste ancora più drammatica, perchè per l’ennesima volta stiamo qui a commentare una morte EVITABILE. Spero che la stima di cui era circondato questo grande lavoratore possa essere un momento di riflessione per tutti.

 

Se nella catena degli appalti e subappalti si nascondono spesso le cause di molti infortuni lavorativi, è importante soffermarsi spesso sulle responsabilità, sui ruoli, sulle posizioni di garanzia dei vari attori dei contratti di appalto. Una nuova pronuncia della Corte di Cassazione che si è soffermata sul rapporto tra  subappaltante e subappaltatore,  nel caso di infortunio di un dipendente di quest’ultimo, è la sentenza n. 18660 del 30 aprile 2018. Una sentenza che indica come la sfera di controllo del subappaltante-committente non possa estendersi fino alla sostituzione del subappaltatore-datore di lavoro nell’attività di formazione-informazione dei dipendenti.

La sentenza della Corte di appello

Nella recente pronuncia della Cassazione si scrive che, con sentenza del 30 settembre 2016, “la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado che ha assolto F.B. dal reato di lesioni personali colpose relativamente all’infortunio sul lavoro avvenuto durante l’intervento edilizio attuato dalla società del F.B., che aveva subappaltato opere di demolizione alla ditta I.R., alle cui dipendenze lavorava M.R. il quale aveva riportato gravi lesioni al bacino a seguito del crollo di un tramezzo in muratura avvenuto, appunto, nel corso dei lavori di demolizione. Secondo i giudici di merito dovevano ritenersi insussistenti i profili di responsabilità specificamente addebiti al F.B.”. A questo proposito la Corte di appello, quanto alla omessa predisposizione di idonee misure atte ad evitare crolli intempestivi dei tramezzi, “riteneva dubbio che tali misure fossero nel caso necessarie, trattandosi di un tramezzo interno costruito in un momento successivo alla realizzazione dell’edificio, quindi privo di rilievo strutturale; osservava comunque che tale omissione non era stata rilevante nella causazione dell’incidente, essendo emerso pacificamente che il tramezzo si era ribaltato contro il M.R. poiché costui aveva deliberatamente disatteso le modalità operative recepite nel Piano Demolizioni predisposto dalla ditta F.B., che prevedevano l’abbattimento del muro dall’alto verso il basso, mentre il lavoratore aveva sferrato colpi di mazza verso la base del muro”. E relativamente all’addebito di mancata formazione-informazione del lavoratore infortunato la stessa sentenza “concludeva nel senso che di tale obbligo non potesse farsi carico il F.B., trattandosi di compito specifico del datore di lavoro del M.R. (I.R.); né era emerso che l’imputato fosse a conoscenza della carente formazione dell’operaio in questione”.

Il ricorso per cassazione

In relazione a questa sentenza del 2016 “ha proposto ricorso per cassazione la parte civile M.R., lamentando, con unico motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione della sentenza”.

Le conclusioni della Corte di Cassazione

In relazione a tali deduzioni la Cassazione segnala che la sentenza impugnata “affronta adeguatamente il problema, e con motivazione che va esente da profili di illegittimità censurabili in questa sede, pur riconoscendo la compresenza delle due imprese nello stesso cantiere organizzato, e gli obblighi incombenti sul F.B. – limitatamente alla sua ‘sfera di controllo’ – quale soggetto facente capo alla ditta subappaltante, esclude motivatamente la ricorrenza dei due profili di colpa specifica contestati al prevenuto”. In particolare quanto alla omessa predisposizione di ‘idonee misure atte ad evitare crolli intempestivi di tramezzi non adeguatamente ancorati alle murature perimetrali’, “la Corte distrettuale osserva che il crollo aveva interessato un tramezzo interno privo di rilevanza strutturale, quindi non necessitante di puntellamento, il cui cedimento era stato causato dallo stesso lavoratore (M.R.) il quale, seguendo una procedura operativa scorretta, aveva sferrato colpi di mazza verso la base del muro, provocandone il cedimento per mancanza di sostegno; rileva, quindi, l’insussistenza del nesso causale tra l’evento lesivo ed il mancato puntellamento del muro”. Riguardo poi al profilo di colpa riguardante la mancata formazione-informazione del M.R., “la sentenza osserva, correttamente, come la sfera di controllo del subappaltante-committente non può estendersi fino alla sostituzione del subappaltatore-datore di lavoro nell’attività di formazione-informazione dei dipendenti di quest’ultimo (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi ed altri, Rv. 26497401; Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio e altri, Rv. 25267201), rilevando la non esigibilità di un controllo pressante, continuo e capillare del F.B. sull’organizzazione e l’andamento dei lavori, fino al punto di verificare in proprio la professionalità e la competenza in materia di sicurezza di ciascun dipendente della ditta subappaltatrice; né – continua la Corte territoriale – era emerso che l’imputato fosse posto a conoscenza della carente formazione del M.R.”. In definitiva – continua la Cassazione – “si tratta di logiche e coerenti argomentazioni che non sono state in alcun modo specificamente contestate o confutate nel ricorso del M.R., che va pertanto dichiarato inammissibile”. La Cassazione oltre a dichiarare inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende.

In una recentissima sentenza di questo mese (Cassazione Penale, Sez.IV, 12 ottobre 2018 n.46401), la Corte ci ricorda un principio più volte affermato negli ultimi anni, secondo il quale “ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all’esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall’art.26 D.Lgs.vo 9.4.2008 n.81, occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o di somministrazione, ma all’effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte.
Ad esempio, con particolare riferimento al subappalto, la Cassazione sottolinea che “con riferimento alla posizione del subappaltatore, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro il sub committente è sollevato dai relativi obblighi solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore. I contratti cui fa riferimento la Cassazione in questa pronuncia e in quelle che verranno successivamente esaminate sono principalmente:

 Contratto di appalto (art.1655 codice civile):

“L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.”

 Subappalto (art.1656 codice civile): “L’appaltatore non può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente.”

 Contratto di somministrazione (art.1559 codice civile):

“La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.”

Pochi mesi fa (Cassazione Penale, Sez.IV, 23 luglio 2018 n.34788) ha precisato che “al di là della definizione operata da parte dei contraenti […] del rapporto quale “contratto di appalto””, vi è stata comunque “una errata gestione da parte degli imputati del “rischio interferenziale”. Se il concetto di “gestione del rischio interferenziale” e, a monte, di “concreta interferenza”, sono dunque centrali in relazione all’obbligo del DUVRI, occorre focalizzare l’attenzione su come venga intesa esattamente l’interferenza in giurisprudenza.
La ratio della norma di cui all’art.26 D.Lgs 81/2008 è quella di far si che il datore di lavoro “committente” appresti un segmento all’interno della propria azienda al fine di prevenire ed evitare i rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all’ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa.”
Secondo la Cassazione Penale, Sez.IV, 23 luglio 2018 n.34788, “l’interferenza rilevante – dovendosi ricercare una nozione che sia il più confacente possibile al perseguimento della sua ratio – deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, ossia come interferenza non di soli lavoratori, ma come interferenza derivante dalla coesistenza di un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi  (Così Sez. IV, sentenza n.36398 del 23 maggio 2013).

Emerge, quindi, che, nell’ambito di interferenza tra organizzazioni di più imprese, in cui è irrilevante l’interferenza di fatto tra lavoratori di plurime imprese, ciò che rileva è la presenza di un potere di interferenza nei confronti dell’appaltatore”.

 Conclusioni

 Una sentenza (Cassazione Penale, Sez.IV, 31 luglio 2018 n.36715), di pochi giorni successiva a quella appena esaminata, fornisce ulteriori approfondimenti in materia.
In linea con le altre sentenze esaminate, la Corte sottolinea in questa pronuncia che “ai fini dell’accertamento della penale responsabilità a titolo colposo, l’interferenza tra impresa appaltante ed appaltatrice non attiene alla valutazione delle sole attività rischiose, ma comporta che tutte le imprese coinvolte individuino specificamente le attività potenzialmente rischiose, ed intervengano per limitarne i rischi connessi.”
 La Cassazione cita a questo punto la sentenza di legittimità che per la prima volta (per quanto ci consta) ha condannato – nel 2012 – un datore di lavoro di una grande azienda italiana per omicidio colposo per omissione del DUVRI, ricordando che “il personale della ditta appaltatrice ha infatti diritto di conoscere preventivamente, con valutazione a cura dell’appaltante, i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro. È stato in proposito affermato (Sez,4, n.5420 del 2012, non massimata) che il concetto di “interferenza” va inteso come “circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti”.
Quindi “in sostanza, ancorché il personale della ditta appaltatrice operi autonomamente nell’ambito del luogo di lavoro della ditta appaltante, deve esser messo in condizione di conoscere, a cura della appaltante, preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro con riferimento, ovviamente, all’attività lavorativa che deve ivi svolgere.”

 

 

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L’evoluzione delle indagini sugli incidenti.

L’investigazione degli eventi è finalizzata a “ricercare le soluzioni a dei problemi al fine di migliorare i livelli prestazionali in termini di sicurezza”. E Reason (1993, 2008) descrive “tre periodi che riguardano i principali focus in termini di sicurezza”. Wilpert e Fahlburg “ne hanno aggiunto un quarto (Dien, 2012):

  • Periodo tecnologico: la fonte dei problemi è la tecnologia;
  • Periodo degli errori umani: la fonte dei problemi è la persona;
  • Periodo socio-tecnologico: la fonte dei problemi è l’interazione tra i subsistemi tecnologici e sociali;
  • Periodo delle relazioni inter-organizzative: la fonte dei problemi è una relazione disfunzionale tra le organizzazioni”.

Reason (2008), nel suo libro Human Contribution, “descrive l’evoluzione nel tempo degli esiti salienti delle investigazioni in relazione agli incidenti occorsi nei vari decenni”.

Tracciato dell’evoluzione delle enfasi poste sulle indagini degli incidenti (Reason, 2008)

Si ricorda che se negli anni ’60, quando si cominciò a porre l’attenzione sul problema dell’errore, “si stimava che il contributo dei problemi legati ai fattori umani nel generare gli incidenti si aggirasse intorno al 20%”, nel 1990 “tale stima si quadruplicò e si assestò intorno all’80%. Ciò non era tanto legato al fatto che le persone erano diventate più fallibili, ma al fatto che il notevole miglioramento dei materiali e delle tecniche ingegneristiche hanno reso i fattori umani più rilevanti rispetto ai guasti tecnici”.

Si segnala poi che negli anni ‘70 “si osservò un numero di incidenti aerei di significativa gravità, il più rilevante dei quali riguardò la collisione tra due Jumbo Jet avvenuta a Tenerife nel 1977: il peggior incidente aereo del mondo. Dopo Chernobyl nel 1986, l’ambito legato ai fattori umani si ampliò, includendo le violazioni procedurali. Negli anni 70, il focus restava incentrato sul ruolo degli operatori di front-line: i piloti, i macchinisti, gli operatori della sala di controllo, e simili. Ma le analisi dettagliate sui fattori che portarono al disastro avvenuto nell’impianto nucleare Three Mile Island nel 1979 misero in luce i fallimenti legati agli aspetti manageriali, manutentivi e sistemici, nonché gli stessi errori commessi nella sala controllo”. E a partire dai primi anni ’80, “divenne evidente che le persone poste in una posizione di front-line non rappresentavano tanto gli attivatori degli eventi avversi, quanto gli eredi di problemi connessi all’ambiente di lavoro e al sistema”.

Se soprattutto grazie ai contributi di Reason è stato coniato il concetto di “evento organizzativo”, più recentemente “ci si sta muovendo verso la presa in carico dei fattori organizzativi. Da un punto di vista punto concettuale, i “fattori organizzativi” coprono la prospettiva socio-tecnologica come pure gli aspetti delle relazioni inter-organizzative”.

I risultati dell’evoluzione descritta sono “cumulativi, non esclusivi (aspetti tecnici, fattori umani e aspetti organizzativi). Nessuno aspetto deve essere ignorato in favore di un altro”.

 

I casi di infortunio con le impastatrici

Il primo caso riguarda un infortunio ad un lavoratore addetto alla macchina impastatrice del cemento per preparare l’impasto da inviare ai piani dell’edificio attraverso apposito tubo trasportatore.

La macchina è posizionata all’interno del perimetro del cantiere vicino al silos contenente cemento e breccia. Le azioni che esegue il lavoratore nel compiere la lavorazione prevedono il caricamento del materiale nell’impastatrice mediante un canale di scarico dal silos alla macchina stessa. Il caricamento avviene dopo aver tolto la pressione all’interno della macchina ed aver aperto il coperchio ed aggiunto l’acqua necessaria alla preparazione dell’impasto.

Sotto il coperchio c’è una griglia metallica a protezione degli organi miscelatori in movimento, che ruotano per impastare il cemento.

Il lavoratore, prima di mettere in pressione la macchina per far salire il materiale ai piani, volendo controllare la consistenza dell’impasto con la mano sinistra, va ad alzare la griglia e con la mano destra mentre va a verificarne la consistenza viene a contatto con gli organi miscelatori in movimento, procurandosi l’infortunio (amputazione mano destra).

Come è avvenuto l’infortunio?

È avvenuto in quanto, “una volta sollevata la griglia il lavoratore ha avuto accesso agli organi lavoratori senza che questi arrestassero il proprio movimento. Al fine di accertare la presenza di un dispositivo di sicurezza (interblocco) atto ad interrompere il movimento degli organi lavoratori una volta sollevata la griglia metallica ed all’eventuale causa del suo mancato funzionamento, si è provveduto a porre la macchina sotto sequestro”.

Anche il secondo caso fa riferimento ad un infortunio presso un cantiere edile, in questo caso ubicato all’interno del terminal di un porto.

La ditta “A”, di cui è dipendente l’infortunato, sta eseguendo in regime di subappalto della ditta “B”, lavori di consolidamento di una trave di fondazione in c.a. posta a sostegno di uno dei binari utilizzati per lo scorrimento di una gru a portale per la movimentazione dei containers, mediante l’esecuzione di micropali posti a collegamento con i pali esistenti ubicati immediatamente sotto la trave stessa.

Alle suddette lavorazioni sono addetti due dipendenti, il sig. M. e l’infortunato stesso. Le operazioni di consolidamento consistono nella fase di perforazione della soletta e parte del palo di fondazione mediante la tecnica del carotaggio continuo, che prevede l’asportazione della carota. Successivamente veniva inserito un tubo metallico, posto come armatura del micropalo, all’interno del quale sono iniettati acqua e cemento fino a colmare l’altezza del tubo stesso. Il cemento vien iniettato direttamente all’interno del micropalo tramite utilizzo di impastatrice a pressione munita di tubazione in gomma.

L’infortunato è addetto sia all’impastatrice che alla perforatrice. Il capo cantiere era il sig. M.. Una volta eseguito l’ultimo palo, il M. chiede di pulire la macchina, e si avvicina alla stessa per vedere come fare. A questo punto l’infortunato rimuove la condotta di uscita del calcestruzzo, quindi la griglia di protezione che è fissata con due bulloni fissi, posizionati sugli angoli della stessa, ai quali la griglia si incastra mediante asole. La macchina rimane ancora collegata elettricamente.

Quindi comincia le operazioni di pulizia che comportano l’inserimento delle mani all’interno della macchina per l’eliminazione delle incrostazioni di calcestruzzo. Nel frattempo il M. si sposta verso la perforatrice posizionata a circa 20 metri e dove è posizionato anche il telecomando. Al momento in cui quest’ultimo si è allontana, il R. ha già le mani inserite nell’impastatrice. Dopo di che improvvisamente l’impastatrice si mette in moto trascinando la mano destra e parte del braccio all’interno, a seguito di un avvio accidentale del telecomando causato dal capo-cantiere.

Questi i fattori causali rilevati:

  • “il capo cantiere avvia accidentalmente il telecomando dell’impastatrice”;
  • l’infortunato “metteva il braccio all’interno dell’impastatrice dopo aver eliminato la protezione con macchina alimentata”.

La prevenzione degli infortuni

Per raccogliere alcuni utili spunti per la prevenzione degli infortuni nell’utilizzo delle impastatrici, facciamo riferimento al documento ” La valutazione dei rischi nelle costruzioni edili“, un manuale nato dalla collaborazione tra il Comitato Paritetico Territoriale per la Prevenzione Infortuni, l’Igiene e l’Ambiente di Lavoro di Torino e Provincia e l’INAIL Piemonte.

Nel documento una scheda riporta alcune misure di prevenzione e istruzioni per gli addetti nell’utilizzo della impastatrice:

Prima dell’uso:

  • Verificare l’integrità delle parti elettriche;
  • Verificare la presenza delle protezioni agli organi di trasmissione (pulegge, cinghie);
  • Verificare l’efficienza dell’interruttore di comando e del pulsante di emergenza;
  • Verificare l’efficienza della griglia di protezione dell’organo lavoratore e del dispositivo di blocco del moto per il sollevamento accidentale della stessa;
  • Verificare la presenza della tettoia di protezione del posto di lavoro (dove necessario).

 

Durante l’uso:

  • Non intralciare i passaggi con il cavo di alimentazione;
  • Non manomettere il dispositivo di blocco delle griglie;
  • Non rimuovere il carter di protezione della puleggia”.

 

Dopo l’uso:

  • “Scollegare elettricamente la macchina;
  • Eseguire le operazioni di revisione e manutenzione necessarie al reimpiego della macchina a motore fermo;
  • Curare la pulizia della macchina;
  • Segnalare eventuali guasti”.

  

 

 

La mancanza della licenza edilizia non ha alcun rilievo sulla configurabilità o meno di un cantiere. Se così non fosse in presenza di attività abusive non sarebbe applicabile il diritto penale del lavoro con agevole elusione delle norme di sicurezza.

La sentenza in commento fornisce utili indicazioni su due aspetti molto discussi fra gli operatori del settore e cioè quello degli elementi in presenza dei quali si può ritenere che vi sia un cantiere edile, così come definito nell’articolo 89 comma 1 lettera a) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, ai fini dell’applicazione di cui al Capo I del Titolo IV dello stesso D. Lgs. e quello del legame che intercorre fra la configurabilità di un cantiere e l’approvazione della licenza edilizia.  La Corte suprema si è espressa, nel caso in esame, in merito a un ricorso nel quale il committente di un’opera edile aveva sostenuto che, benché in allestimento, non vi fosse un vero e proprio cantiere in quanto la pratica amministrativa della licenza edilizia era giacente in Comune, incompleta e in attesa della relazione geologica e che non aveva inoltre nominato il coordinatore per la progettazione non essendo stato completato per tale motivo il progetto dell’opera.

La mancata approvazione di una licenza edilizia, ha precisato infatti la suprema Corte, non ha alcun rilievo sulla configurabilità o meno di un “cantiere” così come definito dal D. Lgs. n. 81/2008; se così non fosse, in presenza di attività abusive e illegali, in ipotesi completamente “a nero”, non sarebbe applicabile il diritto penale del lavoro con agevole elusione della disciplina posta, essenzialmente, a protezione dei lavoratori il che, in tutta evidenza, non è e non può essere. Per quanto riguarda l’obbligo della nomina del coordinatore inoltre, ha precisato ancora la Corte di Cassazione, lo stesso scatta, così come esplicitamente indicato dalle norme di sicurezza, durante la progettazione dell’opera e non alla conclusione della stessa.

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale che aveva condannati il committente di alcuni lavori di edificazione di un fabbricato di civile abitazione, l’amministratore dell’impresa affidataria e il datore di lavoro di un’impresa da questa incaricata del montaggio di una gru, già riconosciuti, all’esito del dibattimento di primo grado, responsabili di avere cagionato, sia per colpa generica che con violazione della disciplina antinfortunistica, con condotte colpose indipendenti ex art. 113 cod. pen., la morte per folgorazione di un operaio dell’impresa di montaggio, ha rideterminato, riducendola, la pena nei confronti di tutti gli imputati.

Con riferimento alla dinamica dell’evento infortunistico era emerso che il lavoratore si trovava, assieme ad altri due operai della stessa impresa, all’interno di un’area recintata di proprietà della ditta committente intento ad eseguire dei lavori di scarico e di posizionamento a terra di alcuni componenti in traliccio di una gru a torre di proprietà dell’impresa affidataria, già installata in un precedente cantiere. Verosimilmente, nell’accompagnare da terra il carico con una mano appoggiata all’elemento metallico della gru agganciato, tramite catene, ad un’autogru che veniva movimentata dal collega, il lavoratore veniva in contatto con un conduttore in tensione ivi presente e decedeva sul colpo per folgorazione causata dalla corrente elettrica.

Al committente era stato contestato di avere omesso, in violazione dell’art. 90, comma 3, del D. Lgs. n. 81/2008, di designare il ” coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione” che, ove fosse stato nominato, avrebbe dovuto redigere, ai sensi dell’art. 91, comma 1, lett. a), dello stesso D. Lgs., un piano di sicurezza e di coordinamento che prevedesse (come prescritto al punto n. 2.1.2. lett. c dell’all. XV allo stesso D. Lgs.) “una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area e all’organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze” e che individuasse (come prescritto al punto n. 2.1.2. lett. g dell’all. XV) “le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione tra i datori di lavoro e tra questi e i lavoratori autonomi” e contenesse altresì (come prescritto al punto n. 2.2.1. lett. a dell’all. XV) un’analisi delle “caratteristiche dell’area con particolare attenzione alla presenza di linee elettriche aree o conduttore sotterranee”.

Al responsabile dell’impresa affidataria era stato contestato di avere omesso, in violazione dell’art. 97, comma 3, lett. a), del D. Lgs. n. 81 del 2008, di operare la cooperazione ed il coordinamento tra i datori di lavoro e i lavoratori autonomi.

Al responsabile dell’impresa incaricata del montaggio della gru era stato contestato di avere omesso, in violazione dell’art. 96, comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 81 del 2008, in relazione all’art. 83, comma 1, dello stesso decreto, di prevedere nel piano operativo per la sicurezza ( POS) misure preventive e protettive specifiche (di cui al punto n. 3.2.1., lett. g, del richiamato allegato XV al D. Lgs. n. 81 del 2008) in relazione ai rischi connessi alle lavorazioni in cantiere per l’ipotesi di situazioni che espongano gli operatori a rischio elettrico per la presenza di conduttori in tensione.

Tutti gli imputati hanno ricorso in cassazione tramite i propri difensori avanzando diverse motivazioni. Il committente, in particolare, ha lamentata una erronea applicazione degli artt. 90, comma 3, e 91, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008 in quanto l’obbligo della nomina del coordinatore è legata al fatto che in cantiere vi fosse la compresenza di più imprese e alla condizione che la fase di progettazione fosse conclusa, cose non verificatesi nella circostanza in esame in quanto per la realizzazione dell’opera era prevista la presenza della sola impresa affidataria e in quanto l’area nella quale doveva essere installato il cantiere al momento dell’infortunio era adibita solo a deposito di materiali. Con riferimento alla mancata nomina di un coordinatore che avrebbe potuto segnalare nel piano di sicurezza la presenza della linea elettrica, il committente ha osservato altresì che l’infortunio comunque si sarebbe verificato ugualmente in quanto gli operai erano venuti a conoscenza della presenza del traliccio della linea elettrica fin dalla sera precedente.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi ritenendoli infondati. Con riferimento, in particolare, al ricorso presentato dal committente la stessa ha fatto presente che nel cantiere era stata accertata la presenza di più imprese in quanto nello stesso oltre alla ditta appaltatrice operava anche l’impresa incaricata del montaggio della gru alle dipendenze della quale lavorava proprio l’operaio infortunato. La stessa Corte ha evidenziato inoltre che il diritto del lavoro è incentrato sul principio di effettività e che nell’area di proprietà del committente “vi era di fatto, un cantiere in attività, sia pure iniziale, e non già un mero, inerte, deposito; e la circostanza che non fosse intervenuta l’approvazione della licenza edilizia non ha alcun rilievo poiché l’emanazione dell’atto amministrativo in questione è indifferente ai fini della configurabilità o meno di un ‘cantiere’”. “Ove così non fosse del resto”, ha così proseguito la Sez. IV  “in presenza di attività lavorative abusive ed illegali, in ipotesi completamente ‘in nero’, non sarebbe applicabile il diritto penale del lavoro, con agevole elusione della disciplina posta – essenzialmente – a protezione dei lavoratori: il che, con tutta evidenza, non è e non può essere”.

Con riferimento poi all’assunto secondo il quale la nomina del coordinatore della sicurezza sarebbe obbligatoria soltanto una volta conclusa la fase di progettazione, la Corte suprema ha fatto notare che lo stesso contrasta con la differente dizione testuale del D, Lgs. n. 81/2008 secondo cui il coordinatore per la progettazione, ai sensi dell’art. 91, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008, redige il piano di sicurezza e di coordinamento durante la progettazione dell’opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, un “durante” che, evidentemente, presuppone che la progettazione e la redazione del piano precedano la concreta esecuzione dell’avvio dei lavori, cosa che, secondo i Giudici di merito, è stata sovvertita nella vicenda in esame in cui si è agito a prescindere dalla progettazione e dalla redazione del piano di sicurezza.

L’imputato peraltro, secondo la Sez. IV, ha banalizzato il ruolo del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione paragonandolo ad un disegnatore che si doveva limitare a redigere una mappa sulla quale segnare le linee elettriche presenti trascurando, così, i complessi ed importanti compiti del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ex art. 91, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 81 del 2008, e cioè il compito di redigere un piano di sicurezza e di coordinamento che preveda (punto n. 2.1.2. lett. c dell’all. XV al D. Lgs. n. 81 del 2008) “una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area e all’organizzazione del cantiere alle lavorazioni e alle loro interferenze” e che individui (punto n. 2.1.2. lett. g dell’all. XV) “le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione tra i datori di lavoro e tra questi e i lavoratori autonomi” e contenga altresì (punto n. 2.2.1. lett. a dell’all. XV) un’analisi delle “caratteristiche dell’area con particolare attenzione alla presenza di linee elettriche aree o conduttore sotterranee”. Cosa che nella circostanza è mancata.

 

Circolare del Comitato Nazionale dell’Albo Gestori Ambientali n.150 del 26/09/2018

Il Comitato Nazionale dell’Albo Gestori Ambientali ha definito che, ai fini della dimostrazione della corretta capacità finanziaria, la presentazione di referenze bancarie può essere effettuata esclusivamente mediante l’utilizzo di affidamenti rilasciati da istituti bancari.

Questa disposizione si applica per tutte le categorie d’iscrizione all’Albo per le quali è richiesta tale dimostrazione, cioè per le categorie 1, 4, 5, 8, 9 e 10.

Circolare Albo Gestori Ambientali

Per maggiori informazioni siamo a vostra completa disposizione.

 

Karoshi: un fenomeno sociale in crescita

Ha suscitato grande impressione la recente notizia di nuovi casi di ‘karoshi’ in Giappone, una piaga con cui il Paese del Sol Levante si trova da tempo a fare i conti. Quattro impiegati della Mitsubishi Electric, tra il 2014 e il 2017, hanno sofferto di un profondo stato di stress psicofisico che ha portato due di loro a togliersi la vita. 

“Karoshi” è il termine giapponese che descrive la morte per eccesso di lavoro, un fenomeno sociale tanto inquietante quanto diffuso di cui vengono riconosciute due tipologie: le morti causate da problemi cardiovascolari per eccessivo stress e i suicidi in seguito a depressione.
In base ai dati ufficiali del ministero del Lavoro giapponese, sono 190 i casi di ‘karoshi’ certificati nell’anno 2017. Nel 90% dei casi le persone avevano accumulato oltre 80 ore di straordinario mensile, mentre per il 50% le ore di extra lavoro superavano quota 100. Gli esperti giudicano questi dati solo come la punta dell’iceberg perché, per svariati motivi, molti casi non vengono segnalati.
È presumibile, infatti, che il numero reale sia molto più alto (si parla perfino di 9.000 casi l’anno) e il fenomeno pare interessare soprattutto quei settori, come la sanità e le costruzioni, che oggi soffrono di una grave carenza di manodopera. Una situazione talmente grave che il “karoshi” è ufficialmente riconosciuto, nelle statistiche demografiche nazionali, come una causa di morte, alla pari di malattie come il cancro o degli incidenti stradali.
In Giappone, lavorare fino allo sfinimento è considerato un gesto ammirevole, che dimostra la propria dedizione e il proprio rispetto nei confronti dell’azienda e dei superiori. Anche quando non richiesto esplicitamente, sono gli stessi dipendenti a scegliere volontariamente di trattenersi in ufficio ben oltre l’orario previsto, fino a tarda sera. È un fenomeno così profondamente radicato nella cultura giapponese e nella mentalità dei lavoratori che le campagne di sensibilizzazione e le iniziative intraprese per tentare di migliorare la situazione hanno finora dato scarsissimi risultati.

Fortunatamente, nel nostro Paese non si ha notizia di situazioni estreme di questo genere. Con questo non si vuole certo dire che in Italia non si soffra di stress nei posti di lavoro. Anzi: secondo i risultati di uno studio condotto per quasi quattro anni dalla Federazione Italiana Aziende Sanitarie Ospedaliere (FIASO) su un campione di circa 65 mila lavoratori che ha coinvolto 19 tra Asl e Ospedali, lo stress lavoro-correlato in Italia colpisce un lavoratore su quattro.
Si tratta di una patologia che si va espandendo sempre più nei ritmi vorticosi della nostra società ma che, purtroppo, per una serie di fattori legati principalmente alle difficoltà di accertamento della causa lavorativa (spesso di natura multifattoriale), risulta sottostimata nelle statistiche ufficiali.
Sulla base dei dati INAIL relativi all’ultimo quinquennio disponibile (2013-2017), su una media annua di circa 420 patologie da stress lavoro-correlate segnalate ne vengono riconosciute soltanto 30 su tutto il territorio nazionale, pari a poco più del 7 % delle denunce. Numeri assolutamente inaccettabili, soprattutto in considerazione di quanto previsto dal Testo unico per la salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) sull’obbligo della valutazione e gestione di questa particolare tipologia di rischio lavorativo.

Ma, quasi come per un tragico paradosso, nel nostro Paese si muore per mancanza di lavoro.
La recente, grave e lunga crisi economica ha, come noto, prodotto conseguenze devastanti su occupazione, produzione, reddito, consumi e risparmi delle famiglie. Aspetti socioeconomici dei quali molto si è parlato e in svariate sedi; non molto spazio, invece, è stato riservato agli effetti negativi della crisi sul benessere psicologico delle persone.
La letteratura scientifica è concorde nel dimostrare che maggiore è la disponibilità di risorse economiche, migliori sono i valori di tutti gli indicatori di salute. D’altronde, che la stabilità economica e una condizione lavorativa soddisfacente si associno al benessere psicologico e abbia effetti positivi sulla vita degli individui in termini di autostima e prospettiva per il futuro, è un dato non solo assodato dal senso comune ma anche confermato da una serie di studi scientifici.
Dai risultati di un recente studio condotto nella provincia di Modena, emerge come nel periodo della crisi economica si sia registrato un incremento degli accessi di persone ai Centri di Igiene Mentale, pari al 25%  per gli uomini e al 13% per le donne e un aumento consistente e diffuso dell’uso di farmaci antidepressivi. 
Ma c’è un altro aspetto, certamente il più tragico, delle conseguenze derivate dalla crisi: i suicidi.  Secondo una ricerca della Linkus Campus University, dall’inizio della crisi economica ad oggi più di 700 persone hanno deciso di togliersi la vita per motivi economici. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di maschi (80% circa), di età compresa generalmente tra i 45 e i 64 anni. Il 44%  è costituito da imprenditori, in genere di piccole aziende andate fallite, ma è molto alto anche il numero dei lavoratori che la crisi ha reso disoccupati,  che raggiunge il 40% del totale.